26 Novembre: giornata nazionale del Parkinson
Molto spesso, se pongo questa domanda, le persone mi rispondono tremore. Effettivamente il sintomo più evidente e più frequentemente presente nella persona con Parkinson è il tremore.
Il Parkinson è una forma di demenza, cioè una malattia degenerativa ad andamento progressivo, che rientra nella classe più ampia delle demenze sottocorticali.
Attualmente, a livello farmacologico vengono impiegati farmaci definiti dopaminergici: la Levo-Dopa, amminoacido in grado di modulare un neurotrasmettitore, la dopamina. La dopamina si trova in concentrazioni ridotte in questi pazienti a causa delle degenerazione di specifiche aree denominate nuclei della base, in particolare della Sostanza Nera. Questo farmaco, se da un lato è in grado di ripristinare i valori della dopamina e di ridurre così i sintomi motori, può contemporaneamente scatenare fastidiosi effetti collaterali (p.e. nausea, vomito, inappetenza, stipsi, aritmie, disturbi dell’umore e comportamentali, discinesie) essendo, la dopamina, una sostanza regolatrice di importanti strutture del cervello.
A livello cognitivo esistono programmi di riabilitazione che permettono di allenare quelle funzioni maggiormente sensibili al decadimento cognitivo. Tali interventi, così come la terapia farmacologica possono essere utili soprattutto durante i primi tempi e permettono di rallentarne il decorso o la gravità.
Un intervento combinato può quindi migliorare le prestazioni nella persona sia a livello motorio che cognitivo, abbassando anche il carico assistenziale del caregiver.
Molto spesso, screening cognitivi nelle prime fasi possono dirimere il dubbio circa le difficoltà esperite: se siano esse causate da un processo degenerativo in atto o da semplici accadimenti della vita quotidiana, come un periodo di forte stress. Rimane comunque una certezza: prima ci si accorge delle difficoltà, prima è possibile intervenire, prima si agisce per rallentare il deterioramento cognitivo e il processo psicopatologico in atto.